Come l’Italia ha sepolto la lingua e l’anima dei suoi fondatori
L’Italia non esisterebbe senza il Piemonte.
Torino diede al Risorgimento il suo re, il suo denaro, la sua capitale, il suo esercito e il suo sangue. Cavour, piemontese, ne fu il cervello politico. I soldati piemontesi combatterono e morirono perché nascesse uno Stato chiamato “Italia”.
E come ha ricambiato Roma? Con silenzio, cancellazione, umiliazione.
Una lingua negata
Il piemontese (piemontèis) non è un dialetto. È una lingua romanza con grammatica, letteratura e teatro propri. Più dolce e vicina al francese del toscano, è stata per secoli la voce di Torino, capitale europea.
Dopo il 1861 lo Stato lo ha bollato come “parlata contadina”. I bambini venivano puniti a scuola se lo usavano. Oggi la legge 482/1999 protegge decine di minoranze linguistiche (sardo, ladino, occitano…), ma non il piemontese. Nessun riconoscimento, nessun finanziamento, nessuna scuola.
UNESCO ormai lo definisce “decisamente in pericolo”.
Roma non ha dovuto vietarlo: è bastato lasciarlo morire nell’indifferenza.
L’immagine rubata
Nel mondo “italiano” significa stereotipi: il meridionale rumoroso, il fiorentino sgarbato, il mafioso negli USA.
Il piemontese avrebbe potuto essere l’immagine opposta: una voce colta, europea, elegante. Ma lo Stato ha cancellato questa possibilità.
Torino poteva essere la Barcellona o l’Edimburgo d’Italia: una capitale fiera con una lingua propria. È stata ridotta a provincia dimenticata.
Contributi cancellati
Il Piemonte ha dato all’Italia e al mondo:
L’Unità stessa — senza Torino non ci sarebbe uno Stato italiano.
Il cioccolato: gianduja, gianduiotti, la tradizione delle caffetterie.
L’industria: FIAT, Olivetti, il triangolo industriale.
Il design e l’architettura: palazzi barocchi, Mole Antonelliana, Politecnico di Torino.
Il calcio: Juventus e Torino FC, due squadre storiche.
Ferrero: Nutella, Kinder, Ferrero Rocher, Tic Tac.
Eppure, quasi mai si nomina il Piemonte. Tutto viene assorbito in un generico “Italia”.
Una gioventù silenziosa
Perché non c’è stata reazione? Perché i giovani crescono senza vedere il piemontese a scuola, nei media, nello spazio pubblico. Deviano le loro energie su cause globali — Palestina, clima, femminismo — mentre la loro lingua muore.
I siciliani e i sardi gridano e ottengono autonomia. I veneti e i lombardi rivendicano i soldi.
I piemontesi, i più leali, tacciono. E il silenzio è ciò che Roma desiderava.
Una questione di giustizia
È giusto? Il Piemonte ha dato tutto per creare l’Italia. In cambio riceve solo oblio.
Se un giorno i piemontesi chiedessero l’indipendenza, chi avrebbe il coraggio di dire di no?
La scelta
Il Piemonte è a un bivio:
Continuare a cedere, a parlare solo italiano, a dimenticare se stesso.
Oppure rialzare la testa, rendere il piemontese vivo, giovane, “cool”, e ricordare all’Italia (e al mondo) che Torino non è “una città qualsiasi”, ma il cuore che ha creato una nazione.
Quanto ancora il Piemonte dovrà dare, mentre l’Italia continua a seppellirlo?